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Bobby Sands

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PRETORIANO88
view post Posted on 2/3/2008, 18:54





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Bobby Sands
introduzione:
Parlare di Bobby Sands è parlare di un “eroe” ed etimologicamente, in senso indoeuropeo, di tutto ciò che a tale termine solitamente si accompagna: arya = santo, aristos = migliore, nobile. Pur essendo figlio della working class, accesamente cattolica, fortemente repubblicana, intrisa di quel nazionalismo e di quel socialismo “reali” e non ideologici caratteristici del XX secolo nord-irlandese, possiamo comunque annoverare a tutti gli effetti Bobby Sands tra le figure più pure e più nobilmente aristocratiche della storia d’Irlanda, un guerriero di stirpe regale come Brian Boru. In Lui trovano riscontro e si rispecchiano le virtù tipiche dell’antica aristocrazia guerriera, racchiuse nell’idea evangelica del nobile che consacra la sua vita per il bene del popolo a cui appartiene, sino ad arrivare all’olocausto, cioè a perdere la vita per esso e per la sua libertà.
Nel 1981, insieme ad altri 9 eroi rinchiusi nei terribili H-Block della prigione di Long Kesh nel Nord Irlanda, Bobby si lascia morire dopo un estenuante digiuno di 66 giorni che lo aveva visto suo tenace promotore ed iniziatore, perché venga riconosciuto lo status di prigionieri politici e non di delinquenti comuni, a tutti gli internati cattolici nazionalisti militanti nei movimenti politici separatisti e in quelli di resistenza armata all’occupazione inglese. Il suo “nobile olocausto” e quello dei suoi compagni recò un enorme impressione nel mondo libero occidentale, e al di là dei ripetuti segni di adesione internazionale che ebbe da parte di governi e popoli di tutto il mondo, esso decretò in modo definitivo la fine della pubblica moralità della politica inglese e l’inizio di una presa di coscienza politica internazionale riguardo l’esistenza dell’ultima colonia penale di tipo ideologico-politico nella libera Europa dell’ovest.
Vi proponiamo qui la quint’essenza della drammatica esperienza di Bobby Sands, in questi suoi scritti dal carcere, i quali rappresentano il testamento politico di un autentico combattente per la libertà e membro dell’IRA, giovanissimo uomo che tocca le vette dello spirito attraverso il duro distacco dalla materia di un voluto digiuno senza fine, che lo porterà dalla eroica morte pro populo al bonum della vita eterna. La storia di un alter christus il quale, secondo la dottrina tomista, ha preferito la propria morte attraverso un cruento atto piuttosto che tradire la gente d’Irlanda con la sua sete di indipendenza e libertà.
Meditino queste righe tutti quegli pseudo-cattolici democristiani imborghesiti d’Italia e d’occidente, i quali ritennero sempre il problema nord-irlandese una questione da riporre nel dimenticatoio post-conciliare della finta chiesa modernista fondata su una falsa pace, sull’innamoramento col mondo comunista attraverso il compromesso storico e sul tradimento del martirio dei fedeli nordirlandesi e di quelli della cortina di ferro. Dio sappia perdonare tale voluta ed esecrabile dimenticanza, la quale invece nel mondo della destra identitaria, tradizionalista e cattolica non s’è mai avverata, perché noi, gli eroi della fede e della Patria Europa non li dimenticheremo mai, ma saranno sempre il nostro esempio politico e spirituale necessario per edificare il nostro edificio interiore e quello del nostro futuro europeo.
Biografia di Bobby Sands
Bobby Sands , vero nome Robert Gerard Sands (Belfast, 9 marzo 1954 – Long Kesh, 5 maggio 1981) è stato un attivista nordirlandese. Morì durante lo sciopero della fame del 1981, nella prigione di Long Kesh, conosciuta col nome di Maze, nei pressi di Lisburn.
Nato ad Abbots Cross, sobborgo settentrionale di Belfast e cresciuto nel quartiere a maggioranza protestante di Rathcoole, si trasferì diverse volte con la sua famiglia a causa delle costanti intimidazioni subite dai Lealisti protestanti, nonostante non sia stato mai chiaro se i Sands fossero cattolici, dato che il loro cognome deriva dal nonno paterno di Bobby, che era protestante. Lasciata la scuola, Bobby Sands divenne un apprendista capo cantiere, finché non fu costretto a lasciare, per le minacce dei lealisti.
Nel 1972, all'apice dei tumulti aderì al PIRA (Provisional Irish Republican Army), e divenne membro del
Primo Battaglione della Brigata Belfast ma nello stesso anno venne arrestato e rimase in carcere senza processo fino al 1976. Al suo rilascio fece ritorno in famiglia, a Twinbrook nella parte ovest di Belfast, dove divenne un attivista della comunità. Era fuori di prigione da solo un anno quando venne nuovamente arrestato. Anche se le accuse più gravi a suo carico vennero lasciate cadere, venne processato per possesso di armi da fuoco (lui e altri quattro erano in una autovettura nella quale venne rinvenuta una pistola) nel settembre 1977 e condannato a 14 anni di carcere.
Sands scontò la pena nel carcere di Long Kesh, ribattezzato dagli inglesi Maze, quando avevano costruito la parte nuova del carcere, costituita da 8 edifici a forma di H, che divennero tristemente noti come H-Blocks, "Blocchi H". In prigione Sands divenne uno scrittore di giornalismo e poesia, i cui articoli, critti su pezzi di carta igienica e fatti uscire dal carcere con numerosi stratagemmi, vennero pubblicati dal giornale repubblicano An Phoblacht-Republican News. All'inizio dello sciopero della fame del 1980 Sands, già PRO (Public Relations Officer) dei detenuti, venne scelto come OC (Officer Commanding), ufficiale comandante dei prigionieri dell'IRA a Long Kesh. Divenne anche un cattolico sempre più zelante, che un giorno (secondo lo scrittore e politico irlandese, Conor Cruise O'Brien) ricevette la visita di un sacerdote della contea di Kerry che gli portò un'icona di "Nostra Signora", la quale, gli disse, avrebbe dato a Sands la forza di liberare il suo "popolo oppresso" (in Irlanda del Nord).
I prigionieri dell'IRA avevano organizzato una serie di proteste per cercare di riottenere lo status di prigionieri politici che gli inglesi avevano abolito per tutti i crimini commessi dopo il 1 marzo 1976, e non essere soggetti alle normali regole carcerarie. Queste iniziarono con la blanket protest ("protesta delle coperte") nel 1976, quando i prigionieri si rifiutarono di indossare le uniformi e indossavano solamente una coperta. Nel 1978 i detenuti iniziarono la dirty protest ("protesta dello sporco" ),escalation della protesta, che vide i prigionieri vivere nello squallore. Essi spalmavano gli escrementi sui muri delle celle e buttavano l' urina sotto le porte, poiché venivano picchiati duramente dai secondini quando lasciavano le celle per andare al bagno. Dopo più di 4 anni di vita in condizioni disumane, i detenuti decisero di risolvere la questione una volta per tutte e il 27 ottobre 1980 iniziarono il primo sciopero della fame. Guidati da Brendan Hughes, OC dei detenuti dell'IRA, sette detenuti (6 dell'IRA e 1 dell'INLA) digiunarono per 53 giorni fino al 18 dicembre, quando, con uno di loro (Sean McKenna) in fin di vita, decisero di terminare il digiuno sulla base di indefinite promesse del governo britannico che, una volta finito lo sciopero, non mise in pratica i cambiamenti annunciati nel regime carcerario.
Il secondo sciopero della fame iniziò quando Sands, diventato OC al posto di Hughes all'inizio del primo sciopero, rifiutò il cibo il 1 marzo 1981. Sands decise che gli altri prigionieri avrebbero dovuto unirsi allo sciopero ad intervalli regolari, allo scopo di aumentare l'impatto "pubblicitario", con i prigionieri che peggioravano costantemente e morivano su un arco di molti mesi.
Poco dopo l'inizio dello sciopero, Frank Maguire, membro del parlamento britannico per Fermanagh-South Tyrone (un repubblicano irlandese indipendente) morì e si svolse un'elezione suplettiva. Sands venne nominato come candidato anti-H-Block, e vinse il seggio il 9 aprile 1981 con 30.492 voti, contro i 29.046 del candidato dell'Ulster Unionist Party (UUP) Harry West. Il Governo britannico cambiò la legge poco dopo, introducendo il Representation of the People Act. Questo proibiva ai prigionieri di partecipare alle elezioni, e richiedeva un periodo di cinque anni dal termine della pena, prima che un ex detenuto potesse candidarsi.
Tre settimane dopo, Sands morì di inedia nell'ospedale della prigione, dopo 66 giorni di sciopero della fame. L'annuncio della sua morte diede il via a diversi giorni di rivolta nelle zone nazionaliste dell'Irlanda del Nord. Oltre 100.000 persone si schierarono lungo il percorso del suo funerale, dalla casa di Sands a Twinbrook, West Belfast, fino al cimitero cattolico di Milltown, dove sono sepolti tutti i volunteers dell'IRA di Belfast. Sands fu membro del Parlamento di Westminster per venticinque giorni — uno dei mandati più brevi della storia. Lasciò i genitori, i fratelli (una sorella, Bernadette, era all'epoca latitante nell'Eire e avrebbe poi sposato Michael McKevitt, Quartiermastro Generale della Provisional IRA che, nel 1996, in disaccordo con la strategia del processo di pace elaborata da Gerry Adams e Martin McGuinness, aveva lasciato l'organizzazione per dare vita, con altri dissidenti, alla Real IRA, responsabile nel 1998 della strage di Omagh) e un figlio piccolo, Gerard, nato dal suo matrimonio che era finito durante il suo secondo periodo in carcere.
Altri nove uomini (6 dell'IRA e 3 dell'INLA) morirono dopo Bobby Sands tra maggio e agosto del 1981. Gran parte dei repubblicani irlandesi e dei simpatizzanti dell'IRA guardarono a Sands e agli altri nove come a dei martiri che resistettero all'intransigenza del governo britannico, e molti nazionalisti irlandesi che disapprovavano l'IRA, furono scandalizzati dalla posizione del governo britannico.
La copertura mediatica che circondò la morte di Bobby produsse un nuovo flusso di attività dell'IRA, che ottenne molti nuovi membri e incrementò la sua capacità di raccogliere finanziamenti. Molte persone si sentirono spinte ad aiutare a spezzare la connessione britannica aiutando l'IRA, non vedendo altre opzioni dato l'atteggiamento intransigente dei politici britannici nei confronti dell'Irlanda. I numerosi successi elettorali conseguiti durante lo sciopero spinsero il movimento repubblicano a muoversi verso la politica, e indirettamente spianarono la strada all'Accordo del Venerdì Santo e al successo elettorale del Sinn Féin molti anni dopo. Bobby Sands scrisse uno splendido libro in cui narra l'inferno del carcere e la tragedia dell'Irlanda in lotta intitolato "Un giorno della mia vita". Estremamente significativa è la frase che pronuncio' Bobby Sands riferendosi agli anni della sua adolescenza: "Ero soltanto un ragazzo della working class proveniente da un ghetto nazionalista, ma è la repressione che crea lo spirito rivoluzionario della libertà. Io non mi fermerò fino a quando non realizzerò la liberazione del mio paese, fino a che l'Irlanda non diventerà una, sovrana, indipendente, repubblica socialista".
Commemorazioni in altre nazioni
Ad Hartford (Connecticut) nel 1997 venne dedicato un monumento a Bobby Sands e agli altri scioperanti. Il monumento si trova in una rotatoria nota come "Bobby Sands Circle", alla fine di Maple Avenue, nei pressi di Goodwin Park.
Il sindacato dei portuali di New York annunciò un boicottaggio di 24 ore delle navi britanniche.
Lo stato del New Jersey votò 34 a 29 una risoluzione in cui si onorava il coraggio e l'impegno di Bobby Sands.
Oltre 1.000 persone di riunirono nella Cattedrale di San Patrizio a New York, per ascoltare il Cardinale Cook celebrare una messa di riconciliazione per l'Irlanda del Nord. I bar irlandesi in città osservarono due ore di chiusura in segno di lutto.
Nel 2001 un memoriale dedicato a Sands e agli altri scioperanti venne inaugurato a L'Avana, Cuba.
A Milano, 5.000 studenti bruciarono la Union Jack e urlarono "Libertà per l'Ulster", durante una manifestazione.
A Gand gli studenti invasero il consolato britannico.
A Parigi, migliaia di persone marciarono dietro a grandi ritratti di Sands, to chants of 'The IRA will conquer.'
La città di Le Mans ha dedicato una via a Sands, così come il dipartimento di St Denis a Parigi.
Lo Standard di Hong Kong disse che fu "triste che i successivi governi britannici non siano riusciti a porre fine all'ultima delle guerre religiose in Europa.
"L'Hindustan Times disse che Margaret Thatcher aveva permesso a un membro del parlamento di morire di inedia, un incidente che non era mai avenuto "in una nazione civile".
Ad Oslo, dei dimostranti tirarono un palloncino riempito di salsa di pomodoro contro la Regina Elisabetta II.
In India, i membri dell'opposizione nella Camera Alta, osservarono un minuto di silenzio.
In Unione Sovietica, la Pravda descrisse l'accaduto come "un'altra tragica pagina della triste storia di oppressione, discriminazione, terrore e violenza in Irlanda".
Nelle partite di calcio dell'Old Firm a Glasgow, i tifosi del Rangers F.C. cantano Could you go a chicken supper, Bobby Sands?, come scherno verso i tifosi del Celtic F.C., che simpatizzano con la causa repubblicana.
A Teheran, Iran durante i primi giorni della rivoluzione islamica del 1979, gli studenti rivoluzionari simpatizzanti con Sands, cambiarono il nome della via in cui si trovava l'ambasciata britannica, da Winston Churchill street a Bobby Sands street. Questo nome esiste tutt'oggi, nonostante gli sforzi del governo britannico per farlo cambiare.
L'album Endangered Species, dell'australiano Eric Bogle, include una canzone intitolata The Sign, che descrive i suoi pensieri dopo aver visto molti anni prima un graffito con la scritta "Free Bobby Sands" a Christchurch, Nuova Zelanda.
Il gruppo francese Soldat Louis ha composto una canzone intitolata "Bobby Sands", in memoria appunto del patriota irlandese.
Il Diario
La straordinaria produzione letteraria di Bobby Sands può considerarsi racchiusa in tre grandi opere e in un periodo di tempo che va dalla sua prima detenzione nella Cage 11 (le cages si erano baracche prefabbricate che si trovavano nella parte vecchia del carcere di Long Kesh) alla sua prematura morte nei Blocchi H del carcere di Maze. Opere: Un giorno della mia vita, Skylark Sing Your Lonely Song, Il Diario.
Il Diario è un'opera scritta di Bobby Sands. Durante i primi diciassette giorni di sciopero della fame Bobby Sands tenne, su richiesta della leadership esterna, un diario segreto che avrebbe dovuto registrare giorno per giorno gli eventi più significativi dello sciopero.
Questa sorta di promemoria, arricchito dei pensieri più profondi e più veri di Bobby, andò però ben oltre le aspettative dell'I.R.A., divenendo l'addio alla vita di un uomo che era consapevole sin dal primo giorno che il suo destino era quello di morire per la causa.
Rispetto a Un giorno della mia vita e a Skylark Sing Your Lonely Song, il Diario non vuole essere un'opera letteraria, ma piuttosto l'ultimo messaggio di Bobby a quella gente, la popolazione irlandese, per cui valeva la pena combattere e se necessario morire. Ciononostante l'opera è attraversata da un tono così sublime e pervasa da pensieri di tale profondità e intensità da regalare al lettore momenti di vera, altissima poesia.
Il Diario è però essenzialmente il prodotto dei pensieri di Bobby durante i primi difficilissimi giorni di sciopero della fame: è la testimonianza diretta di un uomo che, ancora giovane, andava incontro al dolore e alla morte con grande rassegnazione e pacatezza, ma anche con una certa curiosità e un certo timore verso ciò che lo attendeva, verso quella dimensione sconosciuta che lo avrebbe accolto.
Estratti da ONE DAY IN MY LIFE – UN GIORNO DELLA MIA VITA
di Bobby Sands
Primo Stralcio
«Svuotamento dei buglioli! Svuotamento dei buglioli!» Mi svegliai di soprassalto. «Svuotamento dei buglioli!» Sentii il rumore del secchio di metallo che veniva trascinato lungo il corridoio. Un brivido improvviso mi attraversò tutto, lasciandomi un senso di vuoto nello stomaco. Mi alzai di scatto e di malavoglia, con la paura che mi venisse un crampo. Non mi accadde nulla, ma per diversi secondi i miei occhi dovettero lottare per rischiarare il buio della mia testa che, in preda allo stordimento, minacciava un black out.
Mi ripresi e corsi a guardare dalla fessura. La porta accanto alla cella di Pee Wee fu aperta. «A», «C», il sostituto di «B» e «D» stavano sulla soglia in semicerchio, con a fianco quattro viscidi inservienti. Uno di essi impugnava uno spazzolone, di quelli usati per spingere l'acqua nelle griglie di scolo. John O'Brien si presentò davanti a loro con addosso la coperta che gli penzolava da ogni parte, svuotò nel corridoio il suo bugliolo pieno di urina e si ritrasse. L'inserviente che aveva lo spazzolone, senza attendere alcun segnale, fece un passo in avanti e spinse la pozzanghera di urina dentro la cella, tutt'intorno al materasso di O'Brien. Molti ragazzi svuotavano il contenuto dei propri buglioli sotto le porte, servendosi poi dei loro recipienti vuoti per farlo passare pian piano nel corridoio. La fessura sotto la mia porta era troppo piccola. C'era spazio sufficiente in cima e a lato di essa, ma sarebbe stato troppo complicato servirsene per questo tipo di operazione. Così non mi rimaneva che fare nell'altro modo, cioè rovesciare tutto nel corridoio, come aveva fatto O'Brien quando la sua porta era stata aperta. Bisognava farlo, anche se poi, quando spingevano l'urina dentro la cella, questa ti finiva sopra i piedi, le coperte e il materasso.
Ci sono diversi modi per scuoiare un animale e, nel nostro caso, per tentare di spezzare la resistenza di un prigioniero di guerra. Tra questi ce n'era uno vecchio e ben collaudato. Consisteva nel farci cambiare continuamente di cella, spostandoci da un lato all'altro del braccio. Non importava quale porta avrebbero aperto: era solo un modo per perseguitarci, l'inizio di un'altra tortura. Afferrai il bugliolo e mi tenni pronto. «Almeno avessi un compagno di cella,» pensai, desiderando un po' di conforto morale. Ma anche Seán era solo e così pure il povero Pee Wee lo era stato quella mattina. Volevano portar via qualcun altro. Sentivo che quella era l'unica ragione per cui ci facevano svuotare i buglioli. Lo sapevamo tutti fin troppo bene. La serratura della mia porta scattò, mettendomi all'erta. Stetti pronto con il bugliolo in mano, sperando per il meglio. Aprirono la porta. Non li guardai neppure. Abbassai il bugliolo e ne rovesciai il contenuto nel corridoio, sperando che gli schizzi non sporcassero i loro maledetti stivali lucidi. Feci un passo indietro, alzai la testa e aspettai il colpo che non arrivò. Li guardai in faccia. «C» e «D» erano ubriachi fradici. «A», come sempre, sogghignava. L'inserviente con lo spazzolone si fece avanti e cominciò a spingere dentro la cella quel liquame nauseabondo, ritirandosi solo quando i lati e il fondo del mio materasso ne furono tutti impregnati. Se ne andarono sbattendo la porta. Sollevai e strizzai il materasso per liberare la gommapiuma puzzolente dall'urina, poi mi misi a raschiare il pavimento, per spingere verso la fessura ai piedi della porta la pozzanghera che si era venuta formando. Era un lavoro lungo, perché lo spazio era minimo e l'urina passava al di fuori lentamente.
Lo svuotamento dei buglioli intanto continuava. Il secchio procedeva rumorosamente, preannunciando pericolo. Di tanto in tanto uno splash rivelava che un altro bugliolo era stato svuotato nel corridoio. La tensione era divenuta insopportabile. Poi accadde. Improvvisamente ci fu un'esplosione di rumori, urla e grida piene di veleno. Il secchio finì per terra con un suono metallico e una gragnuola di colpi scosse il braccio. Un rumore che sembrò quello di una testa sbattuta contro le tubature risuonò per le celle. Lasciai cadere a terra il bugliolo e appoggiai l'occhio alla fessura, mentre una voce gridava: «Dagliene ancora!». I tonfi continuarono, fino a che «A» non urlò: «Basta così!». Altri secondini arrivarono di corsa nel braccio dalla direzione opposta, sguazzando con i loro stivali in mezzo alle pozzanghere puzzolenti di urina. «Un furgoncino per le celle di punizione!» gridò «D» con la sua voce odiosa. Sentii altri tonfi, poi passi e risa sadiche, seguiti da un graduale crescendo di piedi che si muovevano sempre più in fretta, altri colpi e qualcosa che sembrava un getto d'acqua. Quattro uniformi nere sfrecciarono davanti al mio campo visivo, trascinando per i piedi un corpo nudo, con la schiena che grattava il pavimento e la testa che sbatteva per terra. Passarono così veloci che non riuscii a riconoscere chi stavano portando via. Chiunque fosse, aveva del sangue sul viso. Per alcuni secondi non successe nulla. Cadde un silenzio sinistro, pieno di incertezza. Le pozzanghere si erano appena ricomposte quando gli stessi rumori ricominciarono. E allora, di nuovo, un accelerare di piedi, i tonfi, i colpi violenti, il getto d'acqua e una massa di figure nere che passarono quasi volando davanti a me, trascinando per i piedi un altro corpo coperto di sangue.
Il rumore dell'acqua cessò a poco a poco e lo strisciare di quel corpo nudo a contatto con la superficie asciutta del pavimento in fondo al braccio si fece sempre più lontano. Ci fu di nuovo un silenzio terribile. La tensione che c'era nell'aria incombeva su di noi come una ghigliottina: nessuno osava respirare, per paura che ci cadesse addosso. Quel silenzio straziante sembrò non aver mai fine. Improvvisamente, come un tuono, si alzò un grido che scosse tutto il braccio: «"Tiocfaidh ár lá!"». Rimbalzò di muro in muro con echi terribili, fracassando il silenzio come un mattone scagliato contro il vetro di una finestra e risollevando i nostri cuori. Amarezza e odio traboccarono da ogni sua sillaba. «Il nostro giorno verrà!» ecco cosa voleva dire quel grido. «Il nostro giorno verrà!» mi ripetei. «Che Dio vi aiuti tutti quanti, 'A', 'C, 'D' e anche tu, 'B', fino all'ultimo di voi, perché non siete altro che degli sporchi torturatori.» «"Tiocfaidh ár lá!"» gridai io stesso, con quanta voce avevo in gola. Un ragazzo cominciò a cantare. "A Nation Once Again" si alzò allora da ogni cella man mano che ognuno di noi si univa a quel canto, per porre fine a quel silenzio crudele e risollevare il nostro morale così provato. Il fetore dell'urina che penetrava attraverso la porta mi fece lacrimare gli occhi e mi arrivò in gola. Gli inservienti cercarono di intonare "The Sash", ma furono completamente sommersi dal frastuono dei buglioli che, in segno di rabbia e di sfida, venivano battuti ripetutamente contro le porte scrostate. «"Tiocfaidh ár lá!"» dissi. «E che arrivi il prima possibile!»
Ritornai al mio lavoro e ricominciai a spingere sotto la porta l'urina che ancora rimaneva ai miei piedi. Il baccano cominciò a diminuire quando le ultime gocce sparirono al di là della porta. Gettai il bugliolo nell'angolo sopra la spazzatura e mi sedetti sul materasso, cercando di tenere i piedi lontani dalla parte bagnata. La mia mente era in subbuglio e io, esausto e provato, desideravo quel sollievo e conforto che non mi venivano mai concessi. Il rumore cessò completamente. Seán picchiò sul muro, preoccupato come sempre. «Tutto bene, Bobby?» «Sì, Seán. E tu?» «Non sono venuti nella mia cella.» «Chi è stato portato via?» gli domandai. «Non lo so,» rispose. Aveva però già chiesto agli altri di farglielo sapere. «Comunque,» continuò, «penso che siano stati 'C' e 'D' a riempirli di botte.» «Probabilmente,» convenni con lui. «Ehi, Seán,» gridò un ragazzo qualche cella più in là. «E' toccato a Liam Clarke e Seán Hughes. Sono stati 'C' e 'D'. L'inserviente con lo spazzolone li ha picchiati violentemente con il manico. Senza alcun motivo, Seán, come sempre. Sono piombati loro addosso quando si sono voltati per rientrare in cella.» Lasciai Seán e i ragazzi a discutere alle finestre di quanto era successo e ripresi a camminare, sapendo che avrebbero potuto chiamarmi per la visita da un momento all'altro.
Quello che era accaduto ai due ragazzi, e ancor prima a Pee Wee, aveva spento il mio entusiasmo. Non potevo fare a meno di pensare che in quel momento si trovavano in cella di punizione. Con tutta probabilità erano stati brutalmente picchiati di nuovo dai sadici secondini che facevano funzionare in modo perfetto quel centro di tortura, all'interno di quello più ampio che era la prigione. Sapevo fin troppo bene cosa succedeva là dentro. Tutti lo temevano. Il Punishment Block (Blocco delle punizioni) significava tortura, brutalità, disumanità. Persino le guardie lo sapevano, ma non l'avrebbero mai ammesso. Alcuni mesi prima ero stato tenuto là tre giorni, fra i più lunghi e insopportabili della mia vita. I secondini mi trascinarono via nudo dalla cella e mi ci trasportarono su un furgone blindato. Giunti a destinazione, non appena sceso mi afferrarono da ogni parte, picchiandomi e prendendomi a calci fino a farmi finire per terra. Non dissero una sola parola, neppure per minacciarmi. Ero un "blanket man", un repubblicano, e questo bastava. Feci appena in tempo a rendermi conto di quel che stava accadendo che mi presero per i capelli e mi trascinarono per terra lungo il cortile, fino all'entrata del Blocco. Uno di loro suonò il campanello, per far venire qualcuno ad aprire il portone. Giacevo ai loro piedi, stordito e ansimante. Avevo il cuore che batteva forte e il corpo in fiamme, lacerato com'era dal contatto con il cemento ruvido che aveva ricoperto di tagli la mia pelle. Il mio viso era infuocato e sporco di sangue, a causa di una ferita che avevo in testa. Rimasi immobile, facendo finta di essere svenuto. Speravo che si accontentassero di avermi fatto perdere i sensi. Avevo una guancia appoggiata alla superficie dura e gelida del cortile, ma il resto del mio corpo sembrava essere insensibile al gran freddo che faceva.
Mormorai in fretta un'"Ave Maria" e un Atto di Dolore, non appena udii un tintinnio di chiavi farsi sempre più distinto. Diverse mani, coperte di guanti, mi afferrarono per le braccia e per le gambe, sollevandomi da terra e facendomi oscillare all'indietro. Il peso del mio corpo mi riportò in avanti, così andai a sbattere contro la lamiera di ferro del portone. Mi sembrò che il cielo mi cadesse addosso quando lasciarono la presa e mi mollarono per terra. A quel punto mille stelle bianche mi esplosero davanti agli occhi come fuochi d'artificio, inghiottite subito da una nube color nero inchiostro. Quando ripresi conoscenza giacevo sul pavimento di una cella di punizione. Aprì gli occhi: tutto mi girava intorno. La forte luce del soffitto che roteava sopra di me mi accecò. Avevo fortissimi dolori alla testa ed ero paralizzato dal male che provavo in tutto il corpo. Rimasi immobile, senza avere il coraggio di muovermi, con il sapore del sangue sulle labbra gonfie. Mi sforzavo di capire dove mi trovassi e cosa fosse successo. Il pavimento di cemento era gelido. Sapevo di dovermi togliere di lì, se non volevo pagarne con il tempo le conseguenze, prendendomi una polmonite.
Mi alzai pian piano sulle ginocchia, ma sbattei contro il muro e caddi per terra. Dopo un'eternità cercai di sollevarmi ancora, sebbene gli spasmi di dolore mi rendessero pressoché impossibile ogni movimento. Con gran fatica mi misi di nuovo in ginocchio. La mia pelle bruciava, perché la carne viva dei tagli e delle escoriazioni era a diretto contatto con il pavimento gelido. Alla fine riuscii a alzarmi in piedi. Fui sul punto di cadere nuovamente, ma appoggiandomi al muro pian piano arrivai al blocco di cemento che fungeva da sgabello e mi ci lasciai cadere sopra. Mi sembrò di morire. Ero così sconvolto dal male e dallo shock da non saper cosa fare. Non riuscivo letteralmente a pensare: il minimo movimento mi faceva tremare tutto e mi mozzava il fiato. Stavo quasi per gridare dal dolore quando la porta si aprì e apparve la figura biancovestita di un inserviente, che entrò dentro. Radioso nel suo camice bianco quello cominciò a esaminarmi, gingillandosi con il mio corpo e tastandomi qua e là. Imitando i gesti di un dottore cercava di impressionare il gruppo di secondini che stava all'entrata della cella. Terminata la sua ispezione, o quello che fu, mi informò con fare arrogante che, se avessi voluto farmi visitare dal medico ed essere curato, avrei dovuto prima fare un bagno. Lo guardai incredulo. Lui ripeté quello che aveva detto con voce ancor più minacciosa. Sapeva bene cosa stava facendo: stavo male, avevo bisogno di cure immediate e lui mi metteva sotto pressione ricattandomi. Niente bagno, niente cure. I dolori che provavo erano così forti che solo a fatica avrei potuto muovermi, perciò sarei stato assolutamente incapace di lavarmi. Inoltre non avevo alcuna intenzione di interrompere la mia protesta. Ferito o moribondo che fossi, non intendevo fare alcuna concessione, né a lui, né a nessun altro.
Sapevo cosa sarebbe accaduto. Il suo ultimatum si trasformò in comando. «Vai a farti ammazzare!» gli dissi rabbiosamente. A quel punto il gruppo di secondini che premeva attorno a lui, senza neppure chiedermi: «Dove ti fa male?» e senza complimenti, mi sollevò come si solleverebbe un mucchio di stracci e mi portò nel bagno, gettandomi come un pezzo di sapone nella vasca già colma d'acqua. Lo shock che provai mentre l'acqua gelida inghiottiva il mio corpo martoriato mi tolse il respiro. Mi sentii bruciare dappertutto, a causa del disinfettante diluito nell'acqua che aveva aggredito le mie carni vive. Feci subito il tentativo di uscire dall'acqua, ma i secondini mi ricacciarono dentro. Uno di loro cominciò a sfregarmi la schiena con una spazzola dura. Mi contorcevo per il dolore. Cercavo di liberarmi, ma più mi agitavo più loro stringevano la presa. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Mi sarei messo a urlare, se avessi avuto il fiato per farlo. Continuarono a grattare ogni parte del mio corpo martoriato e a versarmi addosso secchi di acqua gelida e liquido schiumoso. Ricordo vagamente che, mentre mi stavano tirando fuori, un sadico secondino mi afferrò per i testicoli, cominciando a sfregare le mie parti intime. Fu l'ultima cosa che rammento. Poi svenni. Fui trasportato all'ospedale della prigione, avvolto in una grande coperta color cammello. Venni visitato e tenuto là per due ore. Più tardi, fasciato come una mummia, con un occhio nero e sette punti in testa, fui ricondotto in cella di punizione. Mi ritrovai là, con addosso solamente una coperta che puzzava di urina e di fumo. Avevo recuperato la calma, sebbene fossi ancora un po' disorientato. Cercai di ricordare le cose terribili che avevo subìto, ma dopo poco fui sopraffatto dal pensiero di quello che doveva ancora venire. Nessuno poteva fare nulla per me. Non potevo comunicare con nessuno, perché ero totalmente isolato. Ero solo, indifeso e completamente alla loro mercé, ben sapendo che quelli non conoscevano il significato della parola pietà. Forse la cosa peggiore era avere un freddo terribile e non riuscire a camminare, ne a muovermi per riscaldarmi. Provavo una gran pena per me stesso.
Più tardi i secondini mi trascinarono di nuovo fuori dalla cella. Mi portarono nudo davanti al direttore del carcere, per quella che era la consueta procedura da farsa. Umiliato e imbarazzato rimasi nudo davanti a loro, con la testa che mi scoppiava dal dolore per le percosse subite. Fui accusato di «aver disobbedito a un ordine», che in realtà significava essermi rifiutato di collaborare con il secondino che voleva ispezionarmi l'ano. In altre parole non glielo avevo permesso, ma ciò di cui mi accusarono fu il fatto che erano occorse tre o quattro guardie per tenermi fermo mentre l'ispezione avveniva. Il secondino al quale avevo fatto resistenza era quello con il camice bianco. La mia sorte tuttavia non sarebbe stata diversa se egli fosse stato un vero dottore, perché il loro unico scopo era quello di degradarmi e umiliarmi. Quella non era altro che una delle tante torture che ci venivano inflitte nel tentativo di spezzare la nostra resistenza. Fui riconosciuto colpevole - non che mi aspettassi qualcosa di diverso - e condannato a tre giorni di cella di punizione, durante i quali sarei stato nutrito secondo quella che veniva chiamata eufemisticamente «Dieta n. 1,» cioè una dieta da fame. Persi inoltre un mese di condono, che equivaleva a due mesi di prigione. Infine, per dare credibilità al tutto, fui dichiarato colpevole di aver assalito i quattro secondini che per poco quella mattina non mi avevano ammazzato e di essermi causato volontariamente delle ferite. Mi fu inoltre fatto capire che, se avessi osato presentare formale denuncia, sarei stato accusato di falsa testimonianza ai danni del personale del carcere. «Come ci si può difendere?» ricordo di aver pensato allora.
Un senso di vomito mi aveva preso mentre venivo trascinato di nuovo in cella di punizione, in attesa di comparire davanti al Board of Visitors (Bov). Vi sarei rimasto tre giorni, per poi ritornarvi alla fine del mese per altri quindici, sempre sotto il controllo del Bov. La cella era freddissima, spoglia e solitaria. C'ero già stato una volta e sapevo quanto isolata e insopportabile fosse. Una tavola di legno fungeva da letto. Una lastra, pure di cemento, serviva da tavolo e un altro blocco di cemento da sgabello. Una Bibbia, un bugliolo e un contenitore per l'acqua erano gli unici altri arredi. Rimasi là per tre giorni. Mi picchiarono altre due volte, ma non così duramente come la prima. Quando fu l'ora di svuotare il bugliolo tentarono di ricattarmi: «Se vuoi farlo devi indossare l'uniforme,» mi dissero. Così il contenuto del bugliolo traboccò sul pavimento e là rimase. Vi camminavo sopra incurante, muovendomi con gran fatica, perché dovevo scaldarmi e il mio corpo era sempre tutto intirizzito. Durante i primi due giorni non riuscii quasi a camminare. Diventavo sempre più debole man mano che la «Dieta n. 1» faceva il suo effetto. La mia porzione giornaliera consisteva in due fette di pane raffermo e una tazza di tè freddo per colazione; per pranzo ricevevo una piccola scodella di brodaglia e per cena pane e tè, come a colazione. Il terzo giorno svenni un'altra volta. Riacquistai i sensi solo qualche tempo dopo, senza che nessuno fosse venuto ad assistermi.
Quando ritornai nei Blocchi H persino i secondini mi guardarono come se fossi un fantasma. Ero fisicamente distrutto e mentalmente esausto. Il ricordo del digiuno, delle percosse, del bagno forzato, della noia e del freddo non se ne andava dalla mia mente, riempiendomi di odio profondo, amarezza e pensieri di vendetta. Due settimane dopo venni rinchiuso là per altri quindici giorni. Fu lo stesso incubo moltiplicato per cinque. Vivevo come un animale impazzito e mangiavo con le mani. Ogni tre giorni venivo tenuto a digiuno. Ancora una volta fui costretto a trascinarmi in mezzo allo sporco e ai rifiuti, a continuare a muovermi per scaldarmi. Venivo picchiato, pregavo sottovoce e piangevo nel sonno, combattendo sempre contro l'impulso di cedere a loro, di arrendermi. Ma riuscii a sopravvivere. Quei luoghi di tortura e i sadici che li popolavano avevano distrutto il mio corpo, ma non erano riusciti a uccidere il mio spirito. Mi occorsero tre settimane per riprendermi fisicamente da quell'esperienza di tortura, ma la mia mente non riuscirà mai a dimenticare. Chissà quanti altri erano stati costretti a subire quell'incubo.
Secondo stralcio
Il rumore dei buglioli che raschiavano il pavimento era cessato. Materassi e coperte si stavano asciugando, per quanto possibile. «C'è qualcuno che vuole cantare una canzone?» fu la domanda che tutti conoscevamo bene. Dopo quel che era successo dovevamo pur fare qualcosa per risollevare il nostro morale, anche perché ognuno di noi sarebbe stato costretto a continuare a camminare. Ci furono grida di approvazione, poi un grande applauso accolse il primo cantante. Mi misi a camminare avanti e indietro, ascoltando la prima canzone, "The Old Alarm Clock". La seconda, "My Old Home Town on the Foyle", fu cantata da uno dei ragazzi di Derry. Uno dopo l'altro quelli che venivano chiamati si mettevano a ridosso delle porte a cantare. Poi venne il mio turno, così mi avvicinai alla porta e intonai "The Curragh of Kildare". Per tutta la durata della canzone mi aspettai che «B» ritornasse di nascosto e mi gettasse un secchio di disinfettante sulla faccia, attraverso la fessura laterale della porta. Quasi senza fiato, terminai la mia canzone tra gli applausi e quando annunciarono il cantante successivo ricominciai a muovermi avanti e indietro.
Avevo i piedi congelati. Il pavimento si era asciugato molto poco ed era ancora scivoloso. Mi resi conto che non ce la facevo più a camminare, così rimisi il materasso per terra in un angolo e mi ci rannicchiai sopra, nella parte che era rimasta asciutta. Le ferite che mi avevano provocato durante il cambio di braccio e nel corso della perquisizione dopo la visita mi facevano molto male. Fui tentato di preparare un'altra sigaretta per me e per Seán, ma poi decisi di non farlo e di conservare il tabacco per la sera dopo. Ce la saremmo potuta fumare in due, passandocela con la cordicella, e da come si stavano mettendo le cose sarebbe stata certamente di gran conforto. Le canzoni si susseguivano. Rompevano la monotonia e alleggerivano la tensione che c'era nell'aria, permettendo alla nostra mente di estraniarsi per alcuni minuti dall'inferno in cui ci trovavamo. Non vi erano segni del ritorno di «B». Probabilmente se ne stava da qualche parte in mezzo alla confusione dei secondini, oppure a ubriacarsi ancora. Un ragazzo cantò una canzone sui "blanket men" che lui stesso aveva composto, davvero molto bella, poi un altro intonò "Ashtown Road". Nel braccio si fece silenzio assoluto e io rimasi seduto ad ascoltare, tremando leggermente, ogni parola, ogni nota di quella bellissima ballata che quel ragazzo cantava con voce molto triste. Il mio morale si risollevò. Ancora una volta fui fiero di continuare a resistere. Meglio soffrire mentre si cerca di resistere, piuttosto che essere torturati e non opporre resistenza alcuna. Quando il ragazzo ebbe finito di cantare il braccio fu scosso da un'ondata di applausi. Il «Maestro di Cerimonie» gli chiese un'ultima canzone ed egli cominciò di nuovo, questa volta con "The Wind that Shakes the Barley".
La neve continuava a entrare dalla finestra senza vetri. Mi venne in mente quella notte in cui fummo costretti a mandarli in frantumi a mani nude, perché i secondini avevano gettato litri di fortissimo disinfettante sotto le porte. I ragazzi che stavano sull'altro lato dovevano essersela vista brutta. Li avevo sentiti maledire le finestre sbarrate quando «B» aveva rovesciato il disinfettante sotto le loro porte. Il cantante terminò l'ultima canzone di quella sera e tutti gli fecero un calorosissimo applauso. Poi i ragazzi ripresero a chiacchierare tra loro. Sull'altro lato qualcuno stava ricevendo un messaggio in gaelico proveniente dall'altro braccio, che fu subito trasmesso all'O/C. Un ragazzo stava molto male. Avevano chiamato i secondini, ma quelli avevano staccato il campanello d'emergenza e completamente ignorato la cosa. La madre di un altro era morta il giorno prima. Gli era stato tuttavia negato il permesso di partecipare al funerale, com'era capitato a tutti quelli che, prima di lui, si erano trovati nella sua stessa dolorosa situazione. Mi alzai in piedi sul materasso e guardai fuori dalla finestra. Il filo spinato era coperto da uno spesso strato di ghiaccio, che mi ricordò l'interno di un frigorifero. Sentii alcuni ragazzi augurarsi la buonanotte. Altri dicevano che avrebbero cercato di camminare il più a lungo possibile, perché i loro materassi erano ancora bagnati fradici. Solo pochi rimasero a parlare alle finestre. Seán picchiò sul muro. «"Oíche mhaith",` Bobby.» «"Oíche mhaith", Seán,» gli risposi, e aggiunsi: «Il tuo materasso è bagnato?». «Solo un po',» disse. «Cercherò di scaldarmi sotto le coperte.» «"Maith thú. Oíche mhaith, a chara",» gli augurai. «"Oíche mhaith",» mi gridò ancora.
La neve non cadeva più e soffiava solo un vento leggero. Il manto di neve, prima soffice e immacolato, portava ora i segni delle impronte dei secondini. Le nuvole bianche e gonfie di neve avevano abbandonato il cielo, ora di nuovo nero come l'inchiostro. Qualche stella brillava qua e là. «A quest'ora la maggior parte della gente sta dormendo,» pensai. Mi chiedevo cosa avrebbero provato se, svegliandosi, avessero dovuto affrontare quel che aspettava noi il giorno seguente. Non c'era da meravigliarsi se nelle ultime due settimane avevo avuto parecchi incubi, tutti legati a quei gironi infernali. «Dio mio, quando finirà? E' proprio terribile se neppure il sonno mi permette di evadere,» pensai ancora. Il silenzio era sceso sugli altri Blocchi. I ragazzi attardatisi alle finestre se ne erano ora allontanati, chi per cercare di dormire, chi per una veglia forzata, dovuta allo stato dei loro materassi. Tutto taceva. Fuori le luci multicolori continuavano a far scintillare la neve.
Il silenzio era inquietante. Nell'oscurità sentii il verso di un chiurlo che volava via. Lontano, il faro di un elicottero vagante danzava nell'oceano nero del cielo. Pensavo ai miei familiari. Sarebbero stati preoccupati a morte, fino alla prossima visita. Era stata una giornata dura, ma non era forse così ogni giorno? Solo Dio sapeva cosa ci aspettava domani. A chi sarebbe capitata la sventura di fornire la propria carne martoriata alle celle di punizione? Chi sarebbe stato il bersaglio degli idranti? Chi picchiato a sangue e chi massacrato di botte durante un cambio di braccio? Domani non avremmo avuto altro che ulteriori torture, sofferenze, dolore, noia e paura. L'oscurità, il freddo intenso, lo stomaco vuoto, le fetide tombe popolate da incubi, con le loro quattro mura che ci gridavano addosso...
Ecco cosa attendeva domani centinaia di prigionieri di guerra repubblicani. Ma se il futuro non ci avrebbe riservato nient'altro che torture, era altrettanto vero che avremmo continuato a resistere e non avremmo mai ceduto. «E' dura. Molto, molto dura,» pensai, mentre mi sdraiavo sul materasso bagnato e mi avvolgevo addosso le coperte. «Ma un giorno la vittoria sarà nostra e mai più nessun uomo o donna d'Irlanda dovrà marcire in un buco d'inferno inglese.» Faceva molto freddo. Mi girai su un lato e sistemai il mio prezioso pacchettino di tabacco sotto il materasso. Sentii che l'umidità stava attaccando i miei piedi. «Un giorno di meno alla vittoria,» pensai. Avevo molta fame. Sembravo uno scheletro rispetto a quello che ero stato un tempo, ma questo non aveva importanza. L'unica cosa che importava era continuare a resistere. Mi girai di nuovo. Il freddo mi stava penetrando tutto. «Non c'è nulla nel loro intero arsenale militare che riesca ad annientare la resistenza di un prigioniero politico repubblicano che non vuole cedere,» pensai, ed era proprio vero. «Non possono e non potranno mai uccidere il nostro spirito.» Mi rigirai ancora, tremando per il freddo. La neve entrò dalla finestra e si posò sulle mie coperte. «"Tiocfaidh ár lá",» mi dissi. «"Tiocfaidh ár lá".»
L'ALLODOLA E IL COMBATTENTE PER LA LIBERTA'
di Bobby Sands
Una volta mio nonno mi disse che imprigionare un'allodola è uno dei crimini più crudeli, perché l'allodola è tra i simboli più alti di libertà e felicità. Sovente parlava dello spirito dell'allodola, riferendosi alla storia di un uomo che aveva rinchiuso uno dei suoi tanto amati amici in una piccola gabbia.
L'allodola, soffrendo per la perdita della sua libertà, non cantava più a squarciagola, né aveva più nulla di cui essere felice. L'uomo che aveva compiuto tale atrocità, così come la definiva mio nonno, esigeva che l'allodola facesse ciò che lui desiderava: cioè cantare più forte che poteva, obbedire alla sua volontà, cambiare la sua natura per soddisfare il suo piacere e vantaggio. L'allodola si rifiutò.
L'uomo allora si arrabbiò e diventò violento. Cominciò a far pressioni sull'allodola affinché cantasse, ma inevitabilmente non ottenne alcun risultato. Così ricorse a mezzi più drastici. Coprì la gabbia con un telo nero, privando l'uccello della luce del sole. Le fece patire la fame e la lasciò marcire in una sporca gabbia, eppure lei si rifiutò ancora di obbedirgli. Alla fine l'uomo la uccise. Come giustamente diceva mio nonno, l'allodola possedeva uno spirito: lo spirito di libertà e di resistenza. Desiderava ardentemente essere libera e morì prima di essere costretta ad adeguarsi alla volontà del tiranno che aveva cercato di cambiarla con la tortura e la segregazione. Io sento di avere qualcosa in comune con quell'uccello, con la sua tortura, la sua prigionia e la morte a cui alla fine andò incontro. Possedeva uno spirito che non si trova facilmente neppure tra di noi, i cosiddetti esseri superiori, gli uomini.
Prendete un comune prigioniero. Il suo obiettivo principale è quello di rendere il suo periodo di detenzione più facile e confortevole possibile. Un comune prigioniero non metterà mai a rischio un solo giorno di condono. Alcuni arriveranno persino a umiliarsi, a strisciare e a tradire altri detenuti, pur di salvaguardare sè stessi o accelerare il proprio rilascio. Costoro obbediranno alla volontà di chi li ha catturati. Diversamente dall'allodola, canteranno ogni qualvolta verrà chiesto loro di farlo e salteranno ogni volta che sarà loro ordinato di muoversi. Sebbene abbia perduto la sua libertà, un prigioniero comune non è disposto a giungere alle estreme conseguenze per riacquistarla, e neppure per difendere la propria dignità di uomo. Si adegua, in modo tale da garantirsi un rilascio a breve scadenza. Se invece rimane in carcere per un periodo abbastanza lungo, alla fine diviene un prodotto dell'istituzione, una sorta di macchina, non più in grado di pensare con la propria mente, sotto il pieno potere e controllo di chi lo ha incarcerato.
Nella storia che raccontava mio nonno questa era la fine che avrebbe dovuto fare l'allodola. Ma lei non aveva bisogno di cambiare, né intendeva farlo, e morì affermando proprio questo. Tutto ciò mi riporta direttamente alla mia situazione: sento di avere qualcosa in comune con quel povero uccello. La mia posizione è in totale contrasto con quella di un prigioniero comune che abbia deciso di conformarsi alle regole: io sono un prigioniero politico, un combattente per la libertà. Allo stesso modo dell'allodola anch'io ho combattuto per la mia libertà, non solo in carcere, dove ora mi ritrovo a languire, ma anche fuori, dove il mio paese è tenuto prigioniero. Sono stato catturato e incarcerato, ma, come l'allodola, anch'io ho visto cosa c'è al di là delle sbarre della mia gabbia.
Ora mi trovo nel Blocco H, dove mi rifiuto di cambiare per adeguarmi a coloro che mi opprimono, mi torturano, mi tengono prigioniero e vogliono disumanizzarmi. Al pari dell'allodola non ho alcun bisogno di cambiare. É la mia ideologia politica e i miei principi che i miei carcerieri vogliono mutare. Hanno distrutto il mio corpo e attentato alla mia dignità. Se fossi un prigioniero comune mi presterebbero pochissima, o addirittura nessuna attenzione, ben sapendo che mi conformerei ai loro capricci istituzionali. Ho perso oltre due anni di condono. Non me ne importa nulla. Sono stato privato dei miei vestiti e rinchiuso in una cella fetida e vuota, dove mi hanno fatto patire la fame, picchiato e torturato. Come l'allodola, anch'io ho paura che alla fine possano uccidermi. Ma, oso dirlo, allo stesso modo della mia piccola amica possiedo lo spirito di libertà, che non può essere soppresso neppure con il più orrendo dei maltrattamenti.
Certamente posso essere ucciso, ma, fintantoché rimango vivo, resto quel che sono, un prigioniero politico di guerra, e nessuno può cambiare questo. Non abbiamo forse molte allodole in grado di dimostrarlo? La nostra storia ne è stata costellata in maniera straziante: i MacSweeney, i Gaughan, gli Stagg. Ce ne saranno altri nei Blocchi H? Non posso concludere senza terminare la storia che raccontava mio nonno. Una volta gli chiesi che cosa era accaduto all'uomo malvagio che aveva imprigionato, torturato e ucciso l'allodola. «Figliolo,» disse, «un giorno cadde lui stesso in una delle sue trappole, e nessuno gli prestò aiuto per liberarsi. La sua stessa gente lo derise e gli voltò le spalle. Egli divenne sempre più debole e alla fine stramazzò al suolo, per morire sulla terra che aveva fatto marcire con così tanto sangue. Arrivarono gli uccelli e si presero la loro vendetta cavandogli gli occhi, e le allodole cantarono come non avevano mai cantato prima.» «Nonno,» gli chiesi, «Il nome di quell'uomo non era forse "John Bull?" (il governo inglese n.d.r.)».
Marcella Blocco H - Long Kesh (Da: «An Phoblacht/Republican News», 3 febbraio 1979, p. 2)
DAL DIARIO DI BOBBY SANDS (1-17 marzo 1981).
di Bobby Sands
Stralci da 1 marzo 1981 - domenica.
Sto qui, sulla soglia di un altro mondo palpitante. Possa Dio avere pietà della mia anima. Sono pieno di tristezza perché so di aver spezzato il cuore della mia povera madre e perché la mia famiglia è stata colpita da un'angoscia insopportabile. Ma ho considerato tutte le possibilità e ho cercato con tutti i mezzi di evitare ciò che è divenuto inevitabile: io e i miei compagni vi siamo stati costretti da quattro anni e mezzo di vera e propria barbarie.
Sono un prigioniero politico. Sono un prigioniero politico perché sono l'effetto di una guerra perenne che il popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante, non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra. Io difendo il diritto divino della nazione irlandese all'indipendenza sovrana, e credo in essa, così come credo nel diritto di ogni uomo e donna irlandese a difendere questo diritto con la rivoluzione armata.
Questa è la ragione per cui sono carcerato, denudato, torturato. Nella mia mente tormentata c'è al primo posto il pensiero che l'Irlanda non conoscerà mai pace fino a quando la presenza straniera e oppressiva della Gran Bretagna non sarà schiacciata, permettendo a tutto il popolo irlandese di controllare, unito, i propri affari e di determinare il proprio destino come un popolo sovrano, libero nella mente e nel corpo, definito e distinto fisicamente, culturalmente ed economicamente.
Credo di essere soltanto uno dei molti sventurati irlandesi usciti da una generazione insorta per un insopprimibile desiderio di libertà. Sto morendo non soltanto per porre fine alla barbarie dei Blocchi H o per ottenere il giusto riconoscimento di prigioniero politico, ma soprattutto perché ogni nostra perdita, qui, è una perdita per la Repubblica e per tutti gli oppressi che sono profondamente fiero di chiamare la «generazione insorta».
Oggi ho mandato un altro messaggio alle ragazze di Armagh. Avrei molte cose da dire su di loro, sul loro coraggio, determinazione e indomabile spirito di resistenza. Per me sono quello che la Contessa Markievicz, Ann Devlin, Mary Ann McCracken, e Marie MacSwiney, Betsy Gray e tutte le altre donne irlandesi rappresentano per tutti noi. E naturalmente penso ad Ann Parker, Laura Crawford, Rosemary Bleakeley, e mi vergogno di dire che non so ricordare tutti i loro nomi sacri.
Stralci da 2 marzo 1981 - lunedì.
Questa mattina abbiamo terminato la "no-wash protest", con grande rabbia dei secondini. Ci hanno trasferito nel braccio B, che naturalmente era pulito. Abbiamo dato prova di notevole tolleranza, oggi. Gli uomini, tornando dal bagno, sono stati perquisiti. A un certo punto alcuni hanno dovuto aspettare tre ore per poter uscire dal bagno e soltanto quattro o cinque si sono lavati. Il che dimostra quanta premura avessero i secondini di far cessare la nostra protesta "no-wash".
Subiamo di continuo le loro vendette meschine. Ho visto il dottore e peso 64 chili. Non ho problemi. Il prete, padre John Murphy, è venuto a trovarmi. Abbiamo fatto una breve chiacchierata. Ho saputo che ieri mia madre ha parlato nel corso di una manifestazione a Belfast e che Marcella ha pianto. Mi ha dato coraggio. Il numero dei partecipanti mi lascia indifferente.
Ieri sera mi ha irritato molto la dichiarazione del vescovo Daly. Ha di nuovo applicato con doppiezza i suoi modelli morali. Sembra aver dimenticato che coloro che hanno assassinato quegli irlandesi innocenti nel "Bloody Sunday" di Derry sono ancora tra noi; eppure sa forse meglio di altri che cosa è successo e sta succedendo nei Blocchi H. Sa perché gli uomini qui vengono torturati e il motivo della loro criminalizzazione. Ciò che rende tutto così disgustoso, credo, è il fatto che egli condivida le ragioni nascoste. Solo una volta ha parlato apertamente dei maltrattamenti e delle torture, abituali nei Blocchi H.
Una volta, verso la fine del '78, ho letto un editoriale sulla dichiarazione "Sewer pipes of Calcutta" (Le fogne di Calcutta) dell'allora arcivescovo O'Fiaich (12). Diceva che era stata la vergogna perenne per il popolo irlandese - cito a memoria - ad averlo spinto a scuotere la coscienza morale della gente sul problema dei Blocchi H. Da allora è passato molto tempo, molte torture, e l'anno successivo è stato il peggiore che abbiamo vissuto.
Ora io mi domandò, chi scuoterà la coscienza morale del cardinale? Testimone del bene e del male, alzati e parla. Ma non sappiamo che tutto quello che deve essere detto è «politico»? Il problema non è che questa gente non voglia essere coinvolta nella politica; semplicemente la loro politica è diversa, cioè britannica.
Stralci da 3 marzo 1981 - martedì.
Mi sento straordinariamente bene, oggi. (E' soltanto il terzo giorno, lo so, ma non fa niente, mi sento benissimo.) Questa mattina sono venuti a trovarmi due giornalisti, David Beresford, del «Guardian», e Brendan O'Cathaoir, dell'«Irish Times». Non sono riuscito a organizzare il flusso dei miei pensieri. Avrei potuto dire di più e meglio. 63 chili, oggi, e con ciò?
E' venuto padre Toner. Secondo me ha voluto studiarmi psicologicamente in vista di un prossimo incontro. Se ho sbagliato, mi dispiace, ma penso che sia proprio così. Comunque questa sera ho cercato di andare oltre questa sensazione. Penso che può aver colto il punto. Sul fatto che lo accetti o meno, è da vedere. Non poteva difendere il mio attacco al vescovo Daly – e comunque non ci ha provato.
Hanno portato un tavolo nella mia cella e adesso ci mettono sopra il cibo, davanti ai miei occhi.Sinceramente non me ne importerebbe nulla anche se me lo mettessero sulle ginocchia.Continuano ancora a fare sciocche domande come: «Sei sempre deciso a non mangiare?». Ogginon sono riuscito a cominciare la mia poesia, ma probabilmente lo farò domani. Il problema èche adesso ho molte più idee.
I ragazzi ora dicono il rosario due volte al giorno. Nient'altro per stasera. E' tutto.
Stralci da 4 marzo 1981 - mercoledì.
Stasera è venuto padre Murphy. Non mi sono sentito troppo male, oggi, anche se ho notato chele energie cominciano a esaurirsi. Ma è ancora troppo presto. Oggi mi hanno fatto una doccia etagliato i capelli, e ne ho ricavato un gran benessere. Sei ringiovanito di dieci anni, scherzano iragazzi. Ma io mi sento più vecchio di venti, conseguenza inevitabile di otto anni di torture e diprigionia.
Seguo le notizie e guardo con disgusto e rabbia il complotto Reagan-Thatcher. Sembra evidenteche vogliono opporsi all'espansionismo sovietico con l'espansionismo imperialista: perproteggere i loro interessi vitali, dicono. In realtà mirano alle risorse di altre nazioni, voglionorubare ciò che non hanno e per fare questo (come purtroppo il futuro potrà dimostrare)annienteranno i popoli oppressi e negheranno loro la sovranità nazionale.
Stralci da 5 marzo 1981 - giovedì.
Oggi mi hanno mandato l'assistente sociale a informarmi che mio padre è stato portatoall'ospedale. Volevano che li supplicassi per ottenere un incontro speciale con la mia famiglia.Sono preoccupato per la malattia di mio padre, anche se mi ha risollevato sapere che è già statodimesso dall'ospedale. Devo continuare, qualunque cosa accada.
Ho letto alcuni versi del libro di Kipling. Quelli che aprono i suoi racconti sono davvero belli. Ce n'è uno, in particolare, che mi è sembrato bellissimo. Dice così:
"La terra il suo morto abbandonò con quella marea,Nel nostro campo egli venne,E disse quel che doveva dire e seguitò la sua strada,In fiamme lasciando i nostri cuori.Sul calcio del fucile intaccate il segnoDella vendetta che dobbiamo prenderci,Quando saremo chiamati davanti a DioPer il nostro compagno che è morto".
«Spero di no,» mi sono detto. Ma quella non era una vera speranza, ma solo un modo di dire.Io ho tanta speranza, davvero. Bisogna sempre sperare e non perdersi mai d'animo. E la miasperanza sta nella vittoria finale della mia povera gente. Ci può essere una speranza più grandedi questa?
Dico le preghiere - che verme! (E qualcuno potrebbe osservare: hai aspettato l'ultimo minuto.) Ma io credo in Dio e, sarà presunzione, sono convinto che lui e io ci capiamo bene in questa bufera.
Riesco a ignorare la presenza del cibo che mi sta continuamente davanti agli occhi. Ma ho voglia di pane nero, burro, formaggio olandese e miele. Ah! Non lo faccio per autolesionismo, perché tanto credo che il cibo terreno non faccia vivere gli uomini in eterno e mi consolo con il fatto che sarò nutrito abbondantemente lassù (se ne sono degno).
Ma poi mi assale il pensiero atroce che lassù non si mangi. Tuttavia se c'è qualcosa di meglio del pane nero, del formaggio, del miele eccetera, allora non sarà poi così male. Il vento di marzo stasera è rabbioso e questo mi ricorda che lunedì compirò 27 anni. Devo andare, il viaggio è appena cominciato e domani è un altro giorno. Ora peso 62 chili e in generale mi sento proprio bene, sia mentalmente che fisicamente.
Stralci da 6 marzo 1981 - venerdì.
Non è venuto nessun prete, né ieri, né stasera. Stasera mi hanno impedito di vedere l'avvocato, un altro sintomo della tecnica di isolamento che, con l'andare del tempo, condurranno spietatamente fino in fondo. Mi aspetto di essere trasferito prima del previsto in un braccio vuoto. Mi dispiace lasciare i ragazzi, ma so che la strada è difficile e tutto deve essere conquistato.
Oggi ho avvertito per due volte una perdita di energia e mi sento leggermente debole. I secondini non sono imbarazzati dall'enorme quantità di cibo che portano in cella. So che ogni fagiolo e ogni patatina sono contati e pesati. Quei maledetti idioti non si rendono conto che il dottore controlla se il cibo è stato toccato. In ogni caso, non ho intenzione di assaggiare i loro bocconcini appetitosi.
Per adesso riesco a dormire bene la notte, perché evito di dormire durante il giorno. Faccio perfino sogni piacevoli e non ho ancora avuto il mal di testa. Forse è un tributo alla mia fermezza psicologica: prima o poi lo sconterò? Mi chiedo per quanto tempo ancora sarò in grado di scrivere.
Hanno dato vent'anni alla mia amica Jennifer. Sono proprio sconvolto. Non ho dubbi o rimpianti per quanto sto facendo, perché so che quello che ho affrontato per otto anni e, in particolare, negli ultimi quattro anni e mezzo, altri lo affronteranno, ragazzi e ragazze che vanno ancora a scuola, o il piccolo Gerard, o Kevin, e migliaia di altri.
Non ci criminalizzeranno, non ci spoglieranno della nostra identità, non ci ruberanno la nostraindividualità spoliticizzandoci, come perfetti robot conformi alle leggi. Non riusciranno mai a bollare come criminale la nostra lotta di liberazione.
Mi meraviglio ancora (dopo tutte queste torture) della logica britannica. Mai, in otto secoli,sono riusciti a piegare lo spirito di un uomo che volesse rimanere indomito. Non sono riusciti ascoraggiare, conquistare, nemmeno a demoralizzare il mio popolo, e neanche ci riusciranno mai. Sarò un peccatore, ma sono felice di sapere - e morirò sapendolo - che non dovrò rispondere diciò che questa gente ha fatto alla nostra antica nazione.
Penso a Thomas Clarke, MacSwiney, Frank Stagg, Michael Gaughan, Thomas Ashe e McCaughey. Dio mio, ne abbiamo così tanti che uno in più non fa differenza per quelle canaglie, almeno cosìloro dicono. Ma un giorno pagheranno per tutto questo.
Quando penso a Clarke, mi viene in mente il periodo che ho trascorso nel braccio B del carceredi Crumlin Road, nel settembre e ottobre 1977. É stato allora che mi sono reso conto di cosa miaspettava. Non ho alcun bisogno di raccontare quel che ho vissuto là dentro, perché altri mieicompagni hanno fatto la mia stessa esperienza. Sanno che io sono consapevole del fatto chealcune persone (forse molte) mi criticano per questo sciopero della fame. Ma ho fatto tutto il possibile per evitarlo, senza arrendermi.
Provo compassione per quelli che mi criticano, perché non conoscono gli inglesi, e questi mi fanno ancor più pena perché non conoscono neppure se stessi, poveretti. Ma non è forse veroche abbiamo già avuto gente come loro, che ha cercato di accusare Emmet, Pearse,Connolly, Mellowes? É un atteggiamento negativo che non muore mai...
Sento i chiurli volare sopra di noi. Una cella solitaria, una lotta solitaria. Ma, amico mio, questa strada è ben segnata e chi, chiunque sia stato, l'ha percorsa per primo, merita il saluto della nazione. Io sono solo uno che l'ha seguito. "Oíche Mhaith". (Buona notte)
Stralci da 7 marzo 1981 - sabato.
Ormai sono convinto che le autorità intendano applicare al più presto un rigido isolamento.Infatti mi è sempre più difficile vedere il mio avvocato. Spero di sbagliarmi, ma staremo avedere. É solo che vorrei rimanere con i ragazzi il più possibile, per molte ragioni. Ma se mi isoleranno non mi abbatterò.
Oggi è venuto padre Toner, abbastanza gradito, e mi ha parlato dell'articolo di Brendan O'Cathaoir nell'«Irish Times» di questa settimana, che avevo letto. Abbiamo discusso un po' su alcuni punti che per lui, naturalmente, erano controversi. É stato cordiale nel suo solito modo affettato, e intanto era come se dentro ribollisse, pensando a quanto è stato detto di lui nell'«An Phoblacht/Republican News» (32) di questa settimana, che lo ha definito un collaboratore nazionalista borghese, o qualcosa del genere. Secondo me lo è, ma io li capisco, questi sfortunati figli di Dio che si trovano a dover combattere contro la povertà, le malattie, la corruzione, la morte e la disumanità delle missioni. Lasciamoli in pace, almeno per ora!
Oggi peso 61 chili. Diminuisco. Non sento i morsi della fame, non vado in paranoia per nessun cibo, ma perdio, il cibo qui è migliorato. Mi pare di averlo già notato durante l'ultimo sciopero della fame. Non vedo l'ora di incontrare i miei compagni alla messa di domani, tutti quei visi giovani, senza barba, baffi, lunghi capelli incolti e arruffati. Una cosa è certa: lo sguardo penetrante o vitreo di quegli occhi incredibili, segno rivelatore delle inclemenze della tortura, non potrà mai scomparire, anche se verrà rimosso. É mai possibile, mi domando, che si cancelli dalla mente? Questa settimana è arrivato un altro compagno. Non è esaltante vedere quanti compagni continuano a unirsi a noi?
I secondini mi guardano perplessi. Molti di loro sperano (se i loro occhi dicono la verità) che iomuoia. Se è necessario li accontenterò, ma Dio mio che imbecilli. Oscar Wilde non ha reso lorogiustizia, perché secondo me sono più spregevoli di quanto sospettasse. E aggiunge che c'è solouna cosa più spregevole di un secondino: il direttore del carcere. Stando alla mia esperienza, piùin alto si sale per la disgustosa scala dei gradi e delle posizioni, più spregevoli si diventa.Uno dei «Capi» una volta mi ha annoiato con le sue lodi al «nostro direttore» Hilditch: «Il signor Hilditch è un cristiano praticante. Mai che abbia detto qualcosa che potesse somigliare a una bugia». «Vallo a dire ai quattrocento uomini di questi Blocchi, che da quattro anni e mezzo vengono picchiati fino all'istupidimento!» sono esploso. Quell'uomo non era altro che un povero sciocco, un adulatore. Che altro si può dire?
Stralci da 8 marzo 1981 - domenica.
Fra poche ore compirò ventisette splendidi anni. Paradossalmente sarà un compleanno abbastanza felice, forse perché mi sento libero nello spirito. Non ho altre spiegazioni. Oggi sono andato a messa e ho visto tutti i ragazzi senza barba eccetera. Un prete americano ha celebrato la messa. Ho fatto la comunione. Uno dei ragazzi ha avuto un collasso prima della messa, ma ora sta bene. Un altro è stato portato all'ospedale militare di Musgrave. Sono cose che succedono regolarmente. Peso 60,8 chili. Non ho disturbi.
Ho letto in vari giornali articoli sulla natura, che mi hanno ricordato di quando, al tempo che fu, ero un ornitologo alle prime armi. Il pomeriggio di oggi è stato decisamente piacevole e la sera è calma. E' sorprendente quello che occhi e orecchie riescono a percepire anche in segregazione. Sto aspettando l'allodola perché la primavera è in arrivo. Come ascoltavo l'allodola quando stavo nell'H5 e come osservavo la coppia di fringuelli che arrivò in febbraio! Adesso, steso su quello che altro non è che il mio letto di morte, ascolto persino i neri corvi.
Stralci da 9 marzo 1981 - lunedì.
Stasera ho cominciato a scrivere tardi e fa freddo. E' venuto padre Murphy. Ho discusso con lui della situazione. Mentre usciva, mi ha detto di aver gradito la nostra conversazione, che gli era sembrata illuminante. A proposito di preti, ho ricevuto un biglietto da un certo padre F. C. di Tralee, Kerry, e qualche immagine della Madonna. Il pensiero mi ha commosso. Se è la stessa persona, me lo rammento quando ci fece una predica nella "cage" 11 alcuni anni fa sul diritto di prendere le armi in difesa della propria patria occupata e oppressa. Predicava ai convertiti, ma tutto serve.
É il mio compleanno e i ragazzi mi stanno cantando una canzoncina, che Dio li benedica. Dietro loro richiesta mi sono fatto forza per arrivare alla porta e pronunciare un discorsetto, per quel che valeva. Ho scritto a parecchi amici, oggi, e anche a Bernie e a mia madre. Mi sento bene e peso 60 chili.
Non faccio che pensare a James Connolly e alla grande calma e dignità che ha mostrato sino alla fine, al suo coraggio e alla sua determinazione. Forse non sono imparziale, perché ce ne sono stati migliaia come lui, ma Connolly è sempre stato il mio idolo. Ho sempre una grandissima ammirazione anche per Liam Mellowes e per l'attuale leadership del Movimento repubblicano. So che a loro non mancherà mai il coraggio e non cambieranno. E come posso dimenticare il popolo irlandese di oggi e quello che è insorto in passato? Anche loro hanno un posto speciale nel mio cuore. Be', ce l'ho fatta per ventisette anni, il che è già qualcosa. Può darsi che io muoia, ma la Repubblica del 1916 non morirà mai. Avanti con la Repubblica e la liberazione del nostro popolo.
Stralci da 10 marzo 1981 - martedì.
Dopo quanto ho letto nei giornali mi sta assalendo il timore che possano tentare, in un prossimo futuro, di scavarci la terra sotto i piedi e di sabotare, se non proprio debellare, questo sciopero della fame, con la concessione paternalistica del diritto ai nostri abiti comuni. Concessione che naturalmente non risolverebbe nulla ma che, se permettiamo che sia fatta, potrebbe con l'appoggio della gerarchia cattolica danneggiare seriamente la nostra posizione. Sono convinto che a nessun costo lasceranno conquistare ai prigionieri uno status politico o prerogative che assomiglino in qualche modo a uno status politico. Le ragioni sono molte e varie, motivate principalmente dal desiderio di vedere la fine della lotta rivoluzionaria popolare.
La criminalizzazione dei prigionieri repubblicani regalerebbe loro questa fine. Il desiderio dichiarato di questa gente è di vedere nei Blocchi condizioni più umane. Ma la questione non è di natura «umanitaria» e non riguarda condizioni di vita migliori. É puramente politica e soltanto una soluzione politica potrà risolverla. Questo non fa in nessun modo di noi prigionieri un'élite, né ci siamo mai considerati tali. Non vogliamo essere trattati come «prigionieri comuni», perché non siamo criminali. Non ci sentiamo colpevoli di alcun crimine, a meno che non sia un crimine l'amore per il proprio popolo e per il proprio paese.
Gli inglesi permetterebbero ai tedeschi di occupare il loro paese, o i francesi agli olandesi? Noi prigionieri repubblicani capiamo meglio di chiunque altro la situazione di tutti i prigionieri che vengono privati della loro libertà. Non neghiamo ai prigionieri comuni di beneficiare di quanto noi otteniamo, se questo può migliorare e rendere più sopportabile la loro situazione. Ed è indubbio che in passato tutti i prigionieri hanno tratto giovamento dalle lotte carcerarie repubblicane. Rammento i Fenians e Thomas Clarke, che con la loro resistenza a oltranza servirono a far luce sul «tremendo sistema del silenzio» delle prigioni inglesi del periodo vittoriano. Per ogni decennio ci sono ampie testimonianze di analoghi vantaggi ottenuti da tutti i detenuti attraverso la resistenza dei prigionieri repubblicani.
Sfortunatamente gli anni, i decenni, i secoli non hanno visto la fine della resistenza repubblicana nelle infernali celle inglesi, perché la lotta nelle carceri va di pari passo con l'incessante lotta per la libertà in Irlanda. Molti irlandesi hanno dato la vita per raggiungere questa libertà e so che molti altri ancora, io incluso, continueranno a darla finché la libertà non sarà raggiunta. Sono in attesa di essere spostato dalla mia cella in un braccio vuoto, in totale isolamento. Gli ultimi scioperanti rimasero dieci giorni in cella insieme agli altri prima di essere trasferiti, ma allora facevano la protesta "no-wash" dentro quelle fetide celle. La mia cella è tutt'altro che pulita, ma è tollerabile. L'acqua è sempre fredda. Non posso correre il rischio di prendermi raffreddori o influenze. Non faccio il bagno da sei giorni, forse più. Non importa. Domani è l'undicesimo giorno e ce ne sono ancora molti davanti. Qualcuno potrebbe scrivere un poema sulle tribolazioni di coloro che fanno lo sciopero della fame. Mi piacerebbe scriverlo io, ma come potrei portarlo a termine?
Stralci da 11 marzo 1981 - mercoledì.
Oggi il mio peso è invariato e non ho problemi di salute. Di tanto in tanto mi assale il desiderio di mangiare, ma il desiderio di porre fine alla situazione dei miei compagni e di vedere la liberazione del mio popolo è di gran lunga maggiore.
Oggi ho cercato di ricostruire nella mia mente una citazione di James Connolly. Mi vergognodi non riuscire a farlo, così cercherò di parafrasare quel poco che ricordo. Dice pressappococosì: «...Un uomo che è pieno d'entusiasmo (o di patriottismo) per il suo Paese, che camminaper le strade in mezzo alla degradazione, alla povertà, alla sofferenza della propria gente e che(non ricordo le parole esatte) non fa nulla, è a parer mio un impostore, perché l'Irlanda separatadal suo popolo non è altro che un insieme di elementi chimici...».
Forse l'estrema povertà della Dublino del 1913 oggi non esiste più, ma a paragone delle condizioni di vita di altri paesi del mondo si può ben dire che la situazione è sempre la stessa, se non peggio, sia al Nord che al Sud. Di fatto una sola cosa non è cambiata: l'oppressione economica, culturale e fisica del popolo irlandese.
Anche se al Nord non ci fossero centomila disoccupati, la miseria delle paghe griderebbe vendetta per gli enormi profitti della classe dominante e capitalistica, che prospera con le ferite, il sudore e le fatiche del popolo. Non si avranno mai uguaglianza e fratellanza complete finché questi parassiti domineranno e governeranno la vita di una nazione. Non ci può essere uguaglianza in una società che si fonda sulla melma politica ed economica del più forsennato «vinci o sopravvivi». Paragonate la vita, le comodità, le abitudini, la ricchezza di tutti i ciarlatani politici (che teoricamente si preoccupano di noi, il popolo) con quelle degli oppressi e dei reietti. Paragonatele in ogni decennio storico, paragonatele domani, in futuro: sarà sempre una beffa per voi. E tuttavia la nostra cecità perenne continua. Non ci sono lussi nei Blocchi H, ma c'è un interesse reale per il popolo irlandese.
Stralci da 12 marzo 1981 - giovedì.
Ho sentito nel comunicato odierno che domenica Frank Hughes si unirà a me nello sciopero della fame. Ho il massimo rispetto, ammirazione e fiducia in Frank, e so di non essere solo. Come potrei esserlo, con dei compagni come quelli che ho attorno a me, ad Armagh e fuori? Ho pensato ai compagni di Portlaoise (39), dove il regolamento delle visite è disumano. Senza dubbio anche quel girone infernale con il tempo esploderà. Spero non sia vero, ma laggiù la pietà di Haughey per i prigionieri non deve essere diversa da quella che gli inglesi mostrano nei confronti dei prigionieri nelle carceri del Nord e in quelle inglesi. Sono arrivato a comprendere (ogni giorno che passa li comprendo sempre meglio e con sempre maggior tristezza) l'orribile destino e le torture sopportate fino al limite estremo da Frank Stagg e da Michael Gaughan. Forse - anzi sì, senz'altro - io sono più fortunato, perché quei poveri ragazzi non avevano attorno né facce amiche, né compagni, e non ebbero neppure la consolazione finale di morire nella propria patria. Irlandesi soli, nelle mani orrende di un nemico vendicativo e spietato. Dio mio, quanto sono fortunato in confronto.
Mi ronzano in testa poesie, senza dubbio mediocri, poesie sullo sciopero della fame, su MacSwiney e su tutto ciò che questo sciopero della fame mi ha rimescolato dentro. La prostrazione lentamente avanza e se il cuore è attivo il corpo invece vuol fare il pigro. Così ho deciso di concentrare tutte le mie energie e i miei pensieri per rafforzare la mia determinazione. É questa la cosa più importante. Nient'altro sembra aver valore, tranne il pensiero fisso, insistente, ammonitore: «Non cedere mai». Non importa quanto sia orribile, nero, doloroso, straziante, «non cedere mai», «non disperarti», «non abbandonare la speranza». Lascia che i bastardi ridano quanto vogliono di te, sghignazzino e beffeggino, lascia che persistano con le loro umiliazioni, brutalità, degradazioni, vendette, aggressività meschina, lascia che ridano, perché tutto ciò ora non ha più importanza e non merita risposta. Questa è la mia ultima risposta a tutta l'atrocità umana che chiamano Blocchi H. Ma al contrario delle loro risate di scherno le nostre saranno risate di gioia per la vittoria del popolo; la nostra vendetta sarà la liberazione di tutti e la sconfitta finale degli oppressori della nostra vecchia patria.
Stralci da 13 marzo 1981 - venerdì.
Non sono superstizioso e oggi è stata una giornata priva di qualsiasi evento. Tutto considerato mi sento bene e il mio peso è di 58,5 chili. Oggi non mi sono sentito troppo stanco, ma la schiena ogni tanto mi duole a star seduto sul letto. Non ho ricevuto l'«Irish News», il che mi fa pensare che ci debba essere qualcosa che non vogliono che legga, ma non importa. Stasera è passato per pochi minuti padre Murphy. I secondini hanno frugato rapidamente nella cella quando sono uscito a prendermi l'acqua. Non fanno che ficcanasare. Ho sentito dire che hanno picchiato degli uomini mentre li trasferivano dall'H6 a un altro Blocco. Non cambia mai niente, qui dentro. Seán McKenna (44) è tornato nell'H4. Sembra un po' scosso, ma e vivo e si sta riprendendo. Auguriamoci che si rimetta completamente.
Mi sono svegliato con i passeri, questa mattina, e l'unico pensiero che avevo in testa era: ecco un altro giorno, Bobby - e questo mi ha fatto ricordare una canzone che avevo scritto tanto tempo fa. Eccola:
"Mi sono svegliato al sopraggiungere del secondino,Ha bussato forte alla mia porta senza una parola.Ho guardato il muro e ho creduto di essere morto,Sembra che questo inferno non finisca mai.La porta si aprì e non la richiusero piano,Ma non importava, tanto nessuno dormiva.Ho udito un uccello ma non ho visto la luce dell'alba,Volesse il cielo che fossi già sprofondato sotto terra.Dove sono i pensieri del tempo che fu,E dov'è la vita che un tempo credevo esistesse?Il mio grido non viene raccolto e le mie lacrime scorrono ignorate.Quando verrà il nostro giorno me la pagheranno cara.)
Oggi gli uccelli cantavano. Uno dei ragazzi ha lanciato loro del pane dalla finestra. Che almeno qualcuno mangi! Mi sono sentito un po' solo, stasera, mentre ascoltavo il gracchiare dei corvi che tornavano alle proprie case. Se udissi il canto della splendida allodola mi si spezzerebbe il cuore. Adesso, mentre scrivo, il chiurlo li chiama con voce lugubre mentre passano volando. Mi piacciono gli uccelli. Ecco, devo smettere, perché se scrivo ancora sugli uccelli mi scendono le lacrime e il pensiero torna ai giorni della mia giovinezza. Quelli sì ch'erano giorni - finiti per sempre, ormai. Però me li sono goduti. Me li porto nel cuore. Buona notte, adesso.
Stralci da 14 marzo 1981 - sabato.
Stavo per scrivere alcune cose che avevo in mente, ma dovranno aspettare. Non vedo l'ora di avere intorno tutti i ragazzi, domani alla messa. Non sai mai quando sarà l'ultima volta che li vedrai. Oggi ho fumato qualche sigaretta. Riusciamo ancora a sconfiggerli in questo campo. Se i secondini sapessero la metà di quello che pensiamo! L'ingegnosità dei Pow (Prigionieri di guerra) è qualcosa di incredibile. Peggiore è la situazione, più grande diventa. Un giorno forse tutto sarà svelato.
Ho sempre tratto insegnamento da quello che mi disse un uomo saggio, e cioè che tutti, repubblicani o meno, devono fare la loro parte. Nessuna parte è troppo grande o troppo piccola, nessuno è troppo vecchio o troppo giovane per fare qualcosa. C'è così tanto da fare che nessun gruppo piccolo o selezionato può riuscirci. Soltanto la maggioranza della nazione irlandese potrà permettere la realizzazione della repubblica socialista, e sarà indispensabile un duro lavoro e il sacrificio.
Così, per quello che può valere, vi ringrazio tutti per quanto avete fatto e mi auguro che molti altri seguiranno il vostro esempio. Sono infinitamente fiero di avervi conosciuto e ancor più fiero di chiamarvi compagni e amici. Prima di terminare: ho notato che i secondini oggi hanno proprio sbattuto le porte delle celle, inclusa la mia. Forse è un segno della mentalità di questa gente, sempre vendicativa, sempre piena d'odio. Mi rallegro di non essere anch'io così. Ora devo andare a riposare, perché mi è costato fatica pettinarmi dopo il bagno. So venceremos, beidh bua againn eigin la eigin. Sealadaigh abu. (Venceremos, un giorno saremo vittoriosi. Evviva i "Provos".)
Stralci da 15 marzo 1981 - domenica.
Frank si è unito a me nello sciopero della fame. Oggi ho visto i ragazzi a messa e me ne sono rallegrato. Ha detto la messa padre Toner. Un'altra giornata noiosa. Ho avuto difficoltà a tirarmi su a prendere l'acqua. Domani avrò una visita. Mi farà bene incontrare la mia famiglia. E poi non vedo l'ora di uscire a passeggiare all'aria aperta; mi stancherò, ma spero che il tempo sia buono. Devo andare.
Stralci da 16 marzo 1981 - lunedì.
Ho ricevuto il «Sunday World». I giornali si sono fatti scarsi in questi ultimi giorni.C'è un secondino che ha deciso di angustiarmi fino alla fine nel modo più puerile e vendicativo. Non m'importa nulla di essere stuzzicato, ma il suo atteggiamento ogni tanto mi indigna. Unacosa è torturare, un'altra è trarne godimento, come nel suo caso.
Una piacevole novità. Sembra che, con la fine della "no-wash protest", i secondini abbiano perduto le aggiunte extra, e adesso stanno perdendo gli straordinari e così via. Così, per non sentirsi sfruttati, nonfanno più quel tipo di perquisizione, con tutta la brutalità, la degradazione e l'umiliazione chel'accompagna. Perché? Perché non vengono pagati per farla!
Sto sempre avvolto nelle coperte, eppure mi riesce difficile tenere caldi i piedi. Bere litri diacqua non giova alla temperatura corporea. Riesco ancora a inghiottire il sale e circa tre litri diacqua al giorno senza troppo fastidio.
I libri di cui dispongo sono robaccia. Domani chiederò un dizionario. Preferisco sfogliare lepagine di un dizionario e imparare qualcosa anziché leggere immondizia. I giornali inglesi lileggo appena. Do loro una scorsa sperando che nessuno apra la porta. Ieri sera una copia di«An Phoblacht/Republican News» della scorsa settimana è stata fatta entrare di straforo e letta avoce alta (un altro esempio dell'ingegnosità dei Pow!). Mi è piaciuto ascoltarne il contenuto.
Stralci da 17 marzo 1981 - martedì.
Oggi è la festa di San Patrizio e come al solito niente di nuovo. Sono stato a messa. Con i capelli tagliati stavo molto meglio. Non conoscevo il prete che ha detto la messa. Gli inservienti distribuivano il cibo a tutti quelli che tornavano da messa. Hanno provato a darmi un piatto pieno. Me l'hanno messo sotto il naso, ma io ho tirato dritto come se non ci fossero.
Il mio peso è di 57,50 chili. Nessuna lamentela. Il direttore del carcere è venuto da me e mi ha detto aspramente: «Vedo che stai leggendo un libro breve. Meglio così. Se fosse lungo non riusciresti a finirlo». Ecco che gente sono. Maledetti! Non importa. E' stata una giornata lunga.
Pensavo allo sciopero della fame. La gente dice tante cose del corpo, ma non vi fidate. Io penso che ci sia davvero una specie di lotta. Prima il corpo non accetta la mancanza di cibo e soffre per la tentazione del cibo e per altri fattori che lo tormentano in continuazione. Il corpo reagisce, naturalmente, ma alla fine tutto ritorna alla considerazione primaria, cioè alla mente. La mente è la cosa più importante. Se non hai una mente forte per resistere a tutto non ce la fai. Ti manca ogni spirito combattivo. Ma da dove ha origine questa forza mentale? Forse dal desiderio di libertà, ma non è proprio certo che venga di lì.
Se non riescono a distruggere il desiderio di libertà non possono stroncarti. Non mi stroncheranno perché il desiderio di libertà e la libertà del popolo irlandese sono nel mio cuore. Verrà il giorno in cui tutto il popolo irlandese avrà il desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna.
1971-1981





 
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